Jung e la psicosintesi


Fabio Guidi

Anche se il termine 'psicosintesi' si è diffuso a partire dall'opera di Roberto Assagioli, già da tempo era diventato oggetto di polemica tra Freud e Jung. In una lettera dell'aprile del 1909 al maestro viennese, Jung sosteneva che "se esiste una psicoanalisi, dev'esserci anche una psicosintesi", orientata al futuro della psiche e non semplicemente al suo passato.
Freud riteneva il problema inesistente e che "questa psicosintesi non c’imponga alcun nuovo compito. [...] A mano a mano che analizziamo [la psiche del paziente] ed eliminiamo le resistenze, essa si reintegra. La grande unità che chiamiamo 'Io' ricompone in sé tutti gli impulsi istintuali, che prima si erano scissi e separati da esso. Dunque la psicosintesi si attua durante il trattamento analitico, senza il nostro intervento, automaticamente e inevitabilmente" (Vie della terapia psicoanalitica).
Secondo Jung, invece, dopo una fase analitica, qualora il trattamento arrivi a un punto morto, la «cura dell'anima» deve aprirsi ad una nuova fase 'psicosintetica'. Da questa idea nasce l'intero geniale lavoro dello psichiatra svizzero: "Ciò che io ho da dire inizia dove la cura finisce e inizia lo sviluppo" (Gli scopi della psicoterapia).

Già negli anni Venti, almeno in Inghilterra, Jung e i suoi seguaci costituivano "il mondo della psicosintesi" (cfr. J. MOORE, Gurdjieff. Anatomia di un mito). L'idea fu poi ripresa e sviluppata da Assagioli nella sua «Psicosintesi», termine adottato da lui ufficialmente solo nel 1933, quando fondò a Roma l'Istituto di Psicosintesi (inizialmente, lo psichiatra veneziano usava il termine «psicagogia»). Assagioli affermerà in seguito che "Jung è fra tutti gli psicoterapeuti quello che è più affine e vicino alle posizioni e alla prassi della psicosintesi" (Jung e la psicosintesi, Prima lezione del 1966).

La psicosintesi, di per sé, non si occupa di eliminare i sintomi (quello è il compito tradizionale della psicoterapia), ma fornire gli strumenti per raggiungere, attraverso integrazioni progressive, la totalità psichica, il «Sé». É ciò che Jung intende quando afferma "preferisco sforzarmi di comprendere l'uomo nella prospettiva della sua salute".
Jung afferma che "l'Io è malato per il fatto stesso di essere tagliato fuori dalla totalità, e ha perso il suo legame non solo con l'umanità, ma con lo spirito" (Freud e Jung: contrasta).
Originariamente, dunque, esiste una «coscienza unita», governata da un principio regolatore, che è il Sé. Ma la condizione paradisiaca non dura per sempre: l'Io, progressivamente, deve emergere dalla totalità del Sé, per amore di una sicurezza e di una libertà illusorie. Questo allontanamento dell'Io dalla sua sorgente originaria, l'unità della coscienza, questa inimicizia tra l'ego e il Sé, costituisce la vera malattia dell'uomo - la «malattia dell'anima» - e sta alla base di ogni altro disagio. 
A questo proposito, lo stesso Jung afferma che la 'cura dell'anima' "deve espandersi ben oltre i confini della medicina somatica e della psichiatria, fin dentro regioni che un tempo erano dominio di preti e filosofi"(Questioni fondamentali di psicoterapia). 
Assagioli riconosce come sia evidente che "il programma terapeutico di Jung sia fondamentalmente uguale o affine a quello della terapia psicosintetica" (Jung e la psicosintesi, Seconda lezione del 1966). In definitiva, il termine «psicosintesi», pur diventando l'espressione ufficiale per indicare la scuola di Roberto Assagioli, può in realtà rappresentare un approccio molto più ampio, composto da molte correnti tutte unite dall'accento posto sulle leggi dell'evoluzione interiore e sui metodi di autosviluppo dell'uomo. E queste leggi e questi metodi appartengono a tutti i tempi e a tutte le culture.