Tappe del cammino

 


Gianluca Mondini

L'X-15 era un velivolo curioso.
Sviluppato dalla Nasa intorno agli anni '60, era in grado di volare a velocità ipersoniche; eppure, data la sua particolare aerodinamica, era del tutto incapace di decollare autonomamente.
Come si svolgeva quindi il volo di un X-15?
Durante la fase di decollo, un grande aereo ettamotore, il B-52, teneva attaccato sotto la propria ala il piccolo X-15; il B-52, utilizzando tutta la sua potenza, decollava e raggiungeva la quota designata.
A quel punto l'X-15 si trovava nelle condizioni ideali per poter volare autonomamente; si staccava dall'ala dell'aereo madre, ed una volta che si era distanziato sufficientemente poteva sprigionare tutta la potenza del suo endoreattore.
La presenza del B-52 era indispensabile per l'X-15 durante le prime fasi del volo, essendo questo del tutto incapace di sollevarsi da terra; una volta guadagnate una certa quota e velocità, però, la situazione si invertiva: il forte e grande B-52, che volava a circa 800 km/h, diveniva solamente un limite per l'X-15, che distaccatosi dall'aereo madre poteva quindi superare i 7'000 km/h (circa trenta volte la velocità di un'auto da Formula 1).
Il rapporto tra l'X-15 e il B-52 fa riflettere: un compito arduo ma fondamentale è quello di mettere continuamente in discussione il concetto di ciò che è «bene» per noi in ogni momento; è possibile che qualcosa che oggi è indispensabile per la nostra crescita, domani diventi solamente un grave impedimento che rischia di soffocarci.
Come possiamo quindi parlare di «bene» o «male» in senso assoluto?
Senza il supporto del B-52 l'X-15 non sarebbe mai stato in grado di volare. Però, se quest'ultimo avesse deciso di restare attaccato al grande B-52, non avrebbe certo conquistato e mantenuto per 37 anni il primato di velivolo più veloce del mondo.