Il ritorno

 


Gianluca Mondini

Lei lo guardò e gli chiese – Perché non resti, almeno tu? Nessuno ti obbliga ad andare via.
– Non posso più rimanere, lo sai bene – le rispose. – Gli uomini di questo luogo – proseguì macchiandosi di amarezza – questi uomini hanno distrutto ogni cosa. Dopo aver sterminato i nostri padri, rapito i nostri figli e violentato le nostre donne, hanno seminato veleno nella nostra terra e corrotto la carne dei nostri animali. E guardali: adesso sono là, coloro che un tempo chiamavamo “fratelli”, coi loro martelli ed i picconi, a demolire il nostro tempio. Così come quelle mura, a breve anche il mio spirito crollerà in macerie se rimarrò qui altro tempo. Ecco perché, insieme ad altri, ce ne stiamo andando via. Non posso restare oltre.
– E dove andrete? – gli chiese lei, non riuscendo a celare una crescente agitazione.
– Non ne ho proprio idea – le replicò sorridendole.
Sembrò non accettare una risposta simile. Sarebbe voluta partire insieme a loro – o insieme a lui – ma tutta quell’incertezza la spaventava a morte. Sentiva il bisogno di parole concrete, di progetti certi nei quali potersi sentirsi al sicuro, nei quali rispecchiarsi. Sarebbe voluta salire insieme agli altri sul quel treno delle 12:29, sedersi accanto al finestrino con la sua matita in mano e disegnare, disegnare quella vita che avrebbe voluto costruire, pezzo dopo pezzo. Avrebbe voluto passare le ore a progettare quella casa insieme a lui, con una piccola cucina e un’accogliente camera da letto. Voleva che le parlasse ancora della città nella quale sarebbero andati a vivere, con i suoi palazzi infiniti illuminati quasi fossero un cielo stellato. Pensava a quando sarebbero stati là, girando al buio per quelle strade mentre le luci danzavano fuori dal finestrino. Le sembrava quasi di sentire i capelli svolazzare nel vento mentre urlava di gioia, come una pazza, mentre lui svegliava la notte col rombo di quella sua Dodge nera.
Ma lui non le parlò di tutto questo. Non c’erano progetti o promesse nelle sue parole; non le dette alcuna certezza su ciò che sarebbero state le settimane ed i mesi a venire.
In realtà non le disse proprio nulla.
E lei continuò – Com’è possibile che tu sia sul punto di partire, già con le valigie in mano, e che tu non sappia ancora dove andare? Possibile che nessuno di voi lo sappia? Come sai ho pensato all’idea di lasciare tutto e partire anch’io, sarei voluta venire con voi, ma così mi rendi le cose impossibili! Come posso decidere di partire se non sappiamo neanche dove andare? Come puoi non saperlo? – era ora estremamente agitata.
– No, davvero, non lo so –. Rispose calmo – Nessuno di noi, in realtà, lo sa. Per questo non posso chiederti di seguirmi. Negli ultimi tempi avevo pensato a tre o quattro posti dove avrei voluto vivere, ma tutti i miei progetti sono andati a puttane, ormai. Credevo di sapere ciò di cui avrei avuto bisogno, ed invece eccomi qui, da capo, completamente cieco a me stesso. Ero convinto di aver compreso il mondo intero, eppure oggi scopro che ogni cosa ha una forma diversa da quella che immaginavo. Qui, come vedi, nulla è più come prima. Non ti dirò altro: qualsiasi altra cosa esca dalla mia bocca potrebbe, per quanto mi è dato di sapere, essere una verità oppure una menzogna. Ed io non voglio continuare a mentirti. Non ti meriti questo.
Lei scoppiò in lacrime. Per un attimo tenne gli occhi chiusi; forse non voleva guardarsi intorno, poiché sapeva bene che cosa la circondava. Alle sue spalle si trovava una vecchia città ormai corrotta e caduta in disgrazia, abitata da uomini che non erano più uomini, nella quale sapeva di non poter più continuare a vivere come prima.
Mentre, davanti a sé, si erigeva una strada buia e incerta che nessuno aveva ancora battuto, e che alcuni avevano deciso di percorrere per andarsene via. Ed in quel piccolo gruppo, con le valigie in mano, c’era anche lui – ciò a cui lei teneva più di ogni altra cosa.
In quel momento – sembrò realizzarlo tutto insieme – non c’era più alcun luogo in tutto il mondo a cui lei davvero appartenesse. Era persa, sola, in un universo infinito che non si ricordava neanche il suo nome.
Poi si guardarono intensamente, negli occhi, mentre gli altri attendevano pazienti di poter raggiungere la stazione per prendere il treno delle 12:29.
Lo sguardo di lui era calmo ed amaro, mentre gli occhi di lei celavano il rosso di un fuoco che le bruciava dentro. Appariva dilaniata da una decisione impossibile che doveva essere presa in fretta, e dalla quale – qualunque cosa avesse scelto – non sarebbe potuta tornare indietro. Sembrava potersi rompere in mille pezzi da un momento all’altro, come un vaso di creta riempito a forza con ferro e piombo rovente.
E continuarono a guardarsi negli occhi, per un minuto o qualcosa di più. Gli altri – che iniziarono un po’ a spazientirsi – compresero bene la delicatezza e la tragicità di quella situazione, e restarono perciò in silenzio, ad attendere.
Fu poi che lei, con i suoi occhi, lo penetrò ancora più in profondità, quasi a voler scrutare quell’anima così inquieta di un uomo ormai in procinto di andarsene.
Accadde in quel momento. Vide qualcosa, in lui, che le arrivò addosso come un fulmine in quella giornata nuvolosa. Qualcosa che come un lampo la colpì sulla sommità della testa e la percosse fino ai piedi, qualcosa che la disintegrò e la ricostruì in un solo istante. Una lacrima scese sul suo volto, solcò quella pelle delicata fino a che le si appoggiò sulle labbra, che ora sorridevano distese.
Ruppe il silenzio – Ho capito – disse lentamente, con voce calda e tremante – adesso ho capito dove stai andando. Che stupida sono stata nel volerti fermare. È chiaro che non puoi più restare qui, nessuno di voi può – disse rivolgendosi agli altri. – Era tutto davanti ai miei occhi, lo era sempre stato, eppure non ero mai stata in grado di vederlo.
Il suo volto appariva sereno e gli occhi le brillavano come la luna quando riflette sull’acqua, mentre il suo corpo trasmetteva una chiarezza ed una fiducia che, fino ad allora, le erano state del tutto estranee.
Adesso le era perfettamente chiaro che cosa avrebbe dovuto fare, e nessuna promessa avrebbe potuto infonderle più sicurezza di quanta già non ne avesse trovata vedendo la realtà coi propri occhi.
E quando lui fece per andarle incontro tendendole una mano, lei rispose a quel gesto gettandosi tra le sue braccia, mentre piangeva di gioia.
Nessuno dei presenti, nel guardarli, ebbe l’impressione che si trattasse di un addio. Anzi, qualcuno di loro si commosse riferendo la sensazione di vedere due persone che, per la prima volta, si incontravano profondamente ed in modo indissolubile.
Lei non era solita fidarsi troppo degli altri. Eppure, in un modo magico e insolito, quella pesante corazza le scivolò di dosso e in quel momento se ne stava in piedi, nuda, davanti a lui.
Che cosa le accadde realmente, che cosa le permise di lasciarsi andare in quel modo, non dette modo a nessuno di capirlo. Forse, per la prima volta, guardò davvero dentro di sé. Forse sentì provenire dal profondo un bisogno che prima di allora era stato assopito in lei, schiacciato da desideri ben più rumorosi ed ingombranti. Forse, negli occhi di lui, vide qualcosa di così familiare e antico che anche lei andava cercando da tempo. Notò forse che dietro quello sguardo amaro e un po’ risentito si nascondeva il brillare degli occhi di un bambino. Gli occhi di un bambino che, incantato, si incamminava per la prima volta sulla neve o dentro un bosco d’autunno, senza sapere realmente dove stesse andando.
Nonostante fosse stata privata di ogni certezza, nonostante non avesse la benché minima idea di che cosa ne sarebbe stato di lei, salì insieme a lui e agli altri sul treno delle 12.29, che non aveva alcuna destinazione.
Forse vide in lui quel bisogno, lo stesso che sentiva anche lei, di poter finalmente tornare a casa.