La storia


Gianluca Mondini

La storia, per come viene insegnata, stimola troppo la memoria e troppo poco l'immaginazione; non riesce a trattare il potere come qualcosa di vivo, come un'entità che muta e cambia forma. Soprattutto tralascia un aspetto fondamentale: il potere compie il suo processo d'incarnazione più rapidamente di quanto non muti l'immagine di esso nella psiche del popolo.
Se prendiamo l'esempio del secolo scorso, mentre si creavano i presupposti dell'ecatombe, nella mente delle masse il potere aveva ancora la forma di uomini a cavallo armati di fucile, di re e di regine, e fu proprio questo a predisporre un clima d'innocenza che accolse e favorì l'ascesa di ciò che oggi ricordiamo come una tragedia.
Non deve quindi sorprendere che, ciclicamente, i popoli si trovino di nuovo al punto di partenza: mentre ciò che era stato conquistato a fatica viene perso, mentre i diritti degli uomini vengono succhiati via dai loro corpi, la massa ride e pensa a divertirsi, perché si sente al sicuro, perché inquadra il nemico in una figura che non riesce più a vedere intorno a sé.
Accadrà forse, alcuni decenni dopo, che qualcosa muterà nella coscienza collettiva, e renderà palese ciò che fino a poco prima era rimasto nascosto in bella vista. Nelle scuole inizieranno a ricordare la tragedia avvenuta decenni prima, scriveranno poesie e guarderanno film, verrà scelto un giorno e lo chiameranno «giorno della memoria» per ricordare, per evitare che accada di nuovo. La tragica forma assunta dal potere si radicherà nella psiche e sovrascriverà la precedente, diverrà qualcosa da ripudiare, e saranno pronti a proteggersi da esso usando tutti i mezzi necessari.
Ma gli occhi saranno in cerca della sua vecchia forma e saranno incapaci di vedere l'essenza che lo contraddistingue: mentre ancora saranno impegnati a difendersi da qualcosa di morto, di passato, lo stesso potere si cambierà d'abito e si paleserà nuovamente, sotto la luce del sole, e sarà accolto ancora una volta tra le acclamazioni e gli applausi.
Sarà a quel punto che il popolo, come sempre prima di allora, inizierà a recitare le nuove liturgie e a nutrirsi del corpo che adesso lo domina, e a quel punto la tragedia troverà il terreno fertile per potersi manifestare ancora una volta, mentre le risa e i canti e l'innocenza saranno per essa il fertilizzante perfetto.