Due parti di uno stesso movimento

 

Gianluca Mondini
 
Si tende a scegliere l'una o l'altra parte, meccanicamente, come se qualcuno ci imponesse di farlo. Ciò pare assurdo per cose come il respiro: l'inspirazione e l'espirazione sono fasi tra loro complementari, e solo un pazzo potrebbe dire: «io preferisco inspirare» oppure «preferisco espirare». Non può esistere un'inspirazione o un'espirazione di per sé, perché entrambe sono parti di uno stesso movimento.

Questo vale, allo stesso modo, anche per la solitudine e la presenza dell'altro: chiunque scelga l'una o l'altra finisce inevitabilmente col perdere anche ciò che ha scelto. Chi decide di vivere in mezzo alla gente – e per la gente – perde la propria identità, viene trascinato via dalle cieche e sorde correnti del mondo, disgregandosi nell'anonimia della folla; al contrario, chi invece rinuncia alle frequentazioni per ritirarsi nella propria solitudine, finisce col perdere il contatto con la dimensione reale, venendo poi divorato da sé stesso e dai propri processi interiori. Si può inizialmente apprezzare una marea di gente d'intorno, l'appartenere a qualcosa di più vasto che ci contiene e ci definisce, così come si considera il gusto della solitudine, dell'interiorizzazione, della tranquillità e della libertà che essa concede. Ma come per il respiro, anche la presenza altrui e la solitudine sono due fasi complementari di uno stesso movimento: senza l'una, anche l'altra inevitabilmente viene distrutta. Non si può essere soli se prima non si è stati con qualcuno, e non si può percepire l'altro fintanto che non si conosce la propria solitudine.

Conosco una donna attaccatissima al marito: verso di lui ha sviluppato un profondo sentire di odio e d'amore. Lo ama, perché non può fare a meno di lui, e al contempo lo odia, perché la sua presenza distrugge la sua identità, la rende schiava, appunto, e le nega la solitudine di cui necessita. Sono i suoi bisogni affettivi a tenerla intrappolata in questa condizione: vive per il marito, e conseguentemente, in nessun momento ha la possibilità di vivere sé stessa. Anche quando non sono insieme, i suoi pensieri sono continuamente orientati a lui. Scegliendo l'altro ha perso la propria identità, come se le fosse stata strappata via, e così ha finito per odiarlo, perdendo allora non solamente sé stessa, ma anche lui. È inevitabile che nasca, nelle sue profondità, una forma di risentimento, una spinta travolgente a fuggire via, a ricondurla nella propria solitudine. Ma questa fuga è talmente dolorosa da risultare irrealizzabile, perché di lui ha bisogno e non può rinunciarvi: questo è il dramma.

«L'altro è inferno», diceva Sartre, ed è altrettanto vero che noi stessi, da soli, siamo inferno; inferno è l'inspirazione senza espirazione, l'esplosione di due polmoni carichi d'aria, così come inferno è l'espirazione senza aver preso fiato, che impoverisce, svuota e uccide il corpo. Separare le fasi di un tutt'uno è la strada per interrompere la ciclicità che tiene in vita ogni cosa di questo mondo: le stagioni, il caldo e il freddo, il giorno e la notte, le fasi della vita stessa, la contrapposizione di note e silenzi nella musica, la fatica e il risposo del corpo, l'attrazione che nasce nella distanza e che culmina poi nell'incontro, la presenza dell'altro e la nostra solitudine.

Ogni cosa vitale è ciclica, proprio come il respiro; rinunciare a tale ciclicità significa interrompere la vita, andarle incontro è invece un aprirsi verso di lei.