La leggerezza della fine

 


Gianluca Mondini

A volte si mostrano immagini di come tutto debba prima o dopo finire. Dal momento in cui è nata ogni cosa ha iniziato a sgretolarsi: gli oggetti si rompono, le case si sbriciolano e crollano, gli alberi seccano e poi muoiono... i rapporti finiscono. Le persone? Il loro corpo – e il mio – che procede, a passo lento o svelto che sia, verso una meta inevitabile.

Angoscia? Al contrario. Suppongo che l'angoscia nasca dall'idea opposta: dal negare la morte, dalla tensione che si genera nel volerla allontanare, piuttosto che dall'accettare la fine delle cose come un processo naturale. Vedere la morte per quel che è a volte può sollevare un grandissimo senso di leggerezza. Oggi è stato così, per me. L'insieme di cose che sembravano essere così importanti, che erano diventate il mio «tutto», che mi offuscava, hanno svelato che importanti non erano affatto. La ricerca maniacale di un funzionamento perfetto, di apparenza, il bisogno di tenere tutto sotto controllo, l'urgenza di dire sempre la cosa giusta al momento giusto...

Quando si ha di fronte il processo di sgretolamento a cui ogni cosa è destinata, diviene chiaro come l'unica cosa che conta davvero sia tenere quanto più in salute possibile (dal corpo in su) noi stessi, le persone d'intorno e il nostro ambiente, così da poterci dedicare nel miglior modo possibile a ciò che realmente conta.

Cioè? Cos'è che «realmente conta»? Dipende, ma non sono poi così tante cose. Un esercizio che mi fu proposto, tempo indietro, fu di immaginarmi di essere sul letto di morte. È un esercizio semplice, bastano appena cinque minuti. È un qualcosa che fa risaltare le cose fondamentali, e mi fece piangere. In quel momento, quando sentii che la vita stava per finire, tutto si ridimensionò: alcune cose persero totalmente d'importanza e me ne dimenticai, mentre altre diventarono... immense, e mai prima mi erano sembrate così belle.

Per dire: lì, sul letto di morte, a chi importa di un “coccetto” sulla carrozzeria? Che differenza faceva quel difetto di cucitura sulla giacca? Chi poteva ricordarsi di quella parola fuori posto che dissi durante un monologo, mesi fa? Quanto invece a certe paia d'occhi, o di mani, a certe voci, ai tasti del pianoforte... Mi sembrò di aver sprecato ogni minuto che non avessi passato ad essere presente a me stesso, mentre vivevo queste cose.

In quei momenti rimane poco poco, e quello che resta diventa tutto: si diventa ricchissimi. Oppure lo si è sempre stati, ricchi, e lo si scopre solamente in quel momento. Così le cose si semplificano enormemente e nasce una grandissima leggerezza e focalizzazione. La vita si mostra più semplice di quanto appaia di solito.

Poi si sa: certe immagini durano poco, certi stati di visione sono solo temporanei e la visione normale delle cose torna a prendere il sopravvento. Il graffio sulla carrozzeria della macchina ora è tornato ad essere enorme. Va bene: intanto uno ha fatto esperienza di qualcosa di diverso.

Chissà se un giorno, con la giusta costanza, piano piano, uno non impari ad accedere con sempre più facilità a questo «qualcosa di diverso».

Forse si può davvero imparare a vivere in quel senso di delicatezza e fragilità che rende tutto così importante, e allo stesso tempo, che fa venir su una leggerezza tale da far sembrare il mondo intero, con le sue assurdità e difficoltà, solamente un grandissimo e incomprensibile gioco.