Qualcosa di dimenticato

 

Gianluca Mondini

 

Il mondo intero si svegliò, una mattina, certo di aver dimenticato qualcosa: non ricordava, però, cosa avesse dimenticato. 

L'ho sentito, oggi. Ho sentito la mancanza di una verità che un tempo era familiare e tangibile, lo era per noi tutti, qualcosa che faceva sentire gli uomini a casa nel mondo. Ed è da questa perdita che sono nato io, questa strana versione di me, l'uomo di quest'epoca. 

Cosa sono? Chi, o cosa, è quest'uomo che sono? È un essere vivente senza uno scopo percepibile, sconnesso dal sé e dal mondo che lo circonda. Io sono l'uomo contemporaneo, l'uomo alieno a se stesso così come straniero al proprio mondo, ed è stata la reazione a questo clima di perdita e di smarrimento, questa sensazione di estraneità, appunto, a far sì che io mi fratturassi al mio interno, che mi spaccassi in due anime contrapposte che cercano il proprio posto scontrandosi l'una con l'altra. 

L'anima complessa, una di queste anime, si è convinta che io possa ritrovarmi salendo sempre più in alto. Mi fa volare verso il mondo astratto, nell'intellettualizzazione della mente, mi fa perdere nei labirinti dei pensieri. È l'anima fredda dell'oggettivazione, lo spirito nobile dell'individuo separato e distante, per questo capace di alti valori, di riflessioni su di sé, è l'anima che dota della facoltà di sentirsi un frammento a se stante – qualcosa di unico, sì, ma allo stesso tempo così dissimile e lontano da tutto il resto. 

L'altra anima, opposta, è quella della bestia, – dal significato più nobile del termine fino a quello più abietto, – è l'anima che anela alla fusione con la natura, al richiamo totalizzante del mare, alla perdita nell'abisso cosmico dell'oceano. È l'anima dell'animale e del suo piacere, dei suoi istinti e delle sue emozioni, è l'anima in cui l'uomo trova la negazione della sua emancipazione in quanto individuo e torna a fondersi con gli alberi, rinuncia alla sua complessità amalgamandosi con ciascuno dei fili d'erba, col buio notturno, con l'acqua del mare, con il vento e il resto della natura vivente e non vivente del mondo. 

Così come me ogni uomo, in una diversa misura, ha finito con lo sviluppare dentro sé l'una e l'altra anima. Ma entrambe restano pur sempre anime parziali, incomplete, che destinano per questo chi le insegue unilateralmente all'insoddisfazione e all'infelicità. Sia la presunzione di poter superare la natura – dimenticandola come un peso alle spalle – sia l'idea di farvi ritorno con l'idea di un matrimonio eterno – a ricostituire una fusione simbiotica con lei, – entrambe queste direzioni possono costituire due dolorose e pericolose illusioni.

«Ci sono due monti», scrisse Paul Klee, quasi dipingendo un quadro con le parole, «due monti su cui tutto è limpido e sereno, il monte degli animali e il monte degli dei, e in mezzo la valle crepuscolare degli uomini». Ora io mi domando: esiste forse una via da percorrere nella valle tra queste due immense montagne, una via di mezzo, una strada che permetta all'uomo di camminare in questa valle senza cadere sull'uno o sull'altro versante? 

So che deve esistere una possibilità per l'uomo di ricomporre se stesso, una via di sintesi per rimettere insieme i propri pezzi, una via che faccia sì, attraverso la coscienza di entrambe queste anime, che queste siano accompagnate armonicamente sotto la luce del proprio io. 

Dico che forse un giorno gli uomini riusciranno ad avvicinare la percezione di distacco e individualità, che li accompagna da quando furono dotati di una mente separatrice, con la sensazione di essere parte del tutt'uno del mondo che li circonda. E quando le due anime torneranno ad incontrarsi e a convivere pacificamente dentro un unico corpo, quando ciò che è due tornerà ad essere uno, allora forse gli uomini ricorderanno il proprio ruolo nella creazione, ciò che da tempo immemore è stato dolorosamente dimenticato.

Dico che forse un giorno finirà la filosofia, scompariranno la psicologia e le parole, si avrà la fine delle scienze, delle religioni e delle ideologie – forse non ci sarà più neanche bisogno di parlare. Gli uomini si guarderanno negli occhi, camminando per le strade, e potranno vedere sotto i raggi del sole ciò che in questo momento è tratteggiato, nella vaghezza del buio, solamente da una piccola, piccola luce di una candela lontana nella nebbia. 

Forse un giorno ci guarderemo negli occhi e sapremo riconoscere ciò che siamo, conosceremo il patto che abbiamo siglato con noi stessi e tra di noi, ricorderemo il giorno in cui la natura ci partorì generando il più sofisticato esperimento di autocoscienza che sia mai stato concepito. Quel giorno le due anime contrapposte torneranno a diventare una cosa sola, quel giorno spariranno sia l'anelito alla fusione che la fuga dalla natura, poiché sarà nell'incontro di queste due anime, solo all'apparenza della logica inconciliabili, che noi riusciremo ad esistere nella pienezza e a ricordare ciò che è stato dimenticato. 

Forse un giorno ci sveglieremo accettando di essere stati concepiti come lo specchio vivo e cosciente del mondo, forse ricorderemo il giorno in cui, durante quello che è stato forse solo un suo capriccio di vanità, la natura spalancò il proprio occhio su se stessa per potersi guardare e ammirare da fuori. 

Quel giorno le note di Beethoven saranno tutt'uno con ciò che è dipinto sulle tele di Pissarro, le poesie di Rumi si sovrapporranno ai colori del cielo serale e le pulsazioni delle onde di gravità, provenienti dal cosmo profondo, risuoneranno in una armonia perfetta col battito della terra sotto di noi. 

Quel giorno arriverà, e così arriverà l'istante in cui ciò che ora è solo un lontano ricordo tornerà ad essere chiaro e manifesto. 

Sì, quel giorno ricorderemo l'istante in cui la natura tese una mano verso il cielo con l'intenzione di toccare Dio, quel giorno ricorderemo l'istante in cui fummo concepiti da quella mano, che sarà il ricordare la nostra appartenenza alla terra così come al cielo, che sarà il giorno in cui, forse, si spalancherà di fronte ai nostri occhi la strada di ritorno, la strada per quella che diventerà, finalmente, casa nostra.