La Caffettiera della nonna

 Simone Prezioso

 

Aveva una stupida tendenza a distogliere lo sguardo mentre parlava che mi dava letteralmente sui nervi. Era come se lui limitasse l’intimità tra di noi allo scopo di possedere una distanza minima di sicurezza, un suo spazio comodo dove potersi muovere senza correre il rischio di cadere inesorabilmente nell’altro e perdere quindi la percezione di una sua solidità psichica. Eppure al contempo amavo la timidezza fanciulla che alle volte involontariamente mostrava e che spesso si mescolava a dialoghi limpidi e armonici capaci di smuovermi profondamente.
«Ehi, ma dove guardi? Io sono qui» gli dissi divertita ma anche un po’ irritata mentre cercava di spiegarmi un suo concetto.
«Ehm… cosa?», mi sorrise sorpreso mostrando un’espressione interrogativa.
«Ma come? Non ti accorgi che tutte le volte che siamo a tu per tu e mi parli a un certo punto del discorso distogli lo sguardo per poi continuare a dialogare come se ti rivolgessi al nulla?!».

Fece una leggera smorfia sul volto come a rifiutare quanto appena detto ma presto quell’espressione svanì.

«È che sei troppo bella e ancora non ci sono abituato!» mi rispose con un’espressione accattivante stampata sulla faccia e gli occhi leggermente socchiusi a mo’ di latin lover.
È davvero indescrivibile quanto mi irritasse con questi suoi giochetti idioti eppure al contempo mi stuzzicava e da buon furbastro lo sapeva bene!

«Dai, smettila di fare il deficiente, sono seria! Ho la sensazione alle volte di non riuscire ad essere pienamente con te, anche quando mi parli».

Ottenni così finalmente la sua attenzione e difatti il suo sguardo si aprii di colpo fissandomi negli occhi come per analizzarmi, per capire insomma quale richiesta io gli stessi facendo e poi, come al suo solito, valutarne la legittimità. Per un attimo questa sua reazione istintiva lo portava a guardarmi intensamente e per quel breve istante ero da lui veramente vista e non potevo che sentirmi davvero bella. In certi momenti era così palese che lui mi desiderasse che forse, riflettendoci meglio, stava tutta lì la mia richiesta implicita, sentirmi cioè vista da lui, in profondità, essere compresa e accolta.

«Non saprei, davvero lo faccio?» disse con aria interessata ma al contempo con il suo solito sorriso furbo. Lui aveva imparato come intavolare una discussione oltre le parole che normalmente si dicono e quel suo sorrisetto sembrava invitarmi a parlare chiaramente perché altrimenti non le l’avrei senz’altro fatta sotto il naso. Accidenti! Proprio non riusciva a capire cosa io gli stessi chiedendo. Ogni volta era necessario un processo di analisi, di riflessione e poi parole su parole. Eppure non mi sembrava di parlare una lingua così differente dalla sua. Mi sentii ferita e affranta per un attimo ma poi presi coraggio e continuai a parlargli.

«Sì, lo fai» lo guardai dritto negli occhi «non so come mai, anzi forse sì. Ho come l’impressione che tu debba in una certa misura estraniarti dal nostro rapporto per poterlo affrontare. Mi hai parlato dell’approccio della tua scuola che porta a sviluppare l’osservatore in modo che ciò che accade all’interno e ciò che accade all’esterno vengano affrontati in maniera distaccata e, seppur di primo acchito questa attitudine mi faccia parecchio incazzare, devo ammettere che l’apprezzo, lo trovo un approccio intelligente. Eppure alle volte questo tuo procedimento sembra mettere un freno sia a ciò che senti che a ciò che sento io. Lo hai mai notato?».

Mi guardò con un’aria un po’ smarrita, come a volersi intenzionalmente “disarmare” per poi lasciarsi calare al di dentro quelle mie parole. Era sincero, questo devo ammetterlo. I suoi occhi di colpo divennero umidi e parve dispiaciuto per aver constato di suscitare in me un simile malcontento. Continuava a guardarmi con un’espressione un po’ malinconica e il silenzio denso tutt’intorno creava un clima di tensione. Era evidente, cercava di acciuffare qualcosa che in parte gli sfuggiva o che non sapeva bene come comunicare.

«Tu non puoi capire quale gioia io provi nell’esserti accanto,» mi disse con voce profonda e soffusa, «svegliarmi la mattina e come prima cosa aprire gli occhi per guardare il tuo viso rivolto verso il mio mentre ancora dormi. Quando poi sei sveglia e ti alzi di colpo per imbracciare come prima cosa la tua adorata moka, che da diversi anni ti prepara “il caffè migliore del mondo”, ecco, tu non te ne accorgi, sei tutta presa dall’amoreggiare con la tua caffettiera, ma io intanto ti osservo divertito ben sapendo che il gustarmi quel tuo rituale quotidiano rallegrerà buona parte della mia mattinata. Questi sono solo esempi di ciò che mi trasmetti e non so se ho risposto alla tua domanda, ma sappi che il rapporto con te è una delle cose a cui più tengo nella mia vita».

«Oddio», esclamai dentro di me per poi continuare a riflettere «Lui mi vede e mi osserva! Devo ammettere che la mattina non mi frega proprio nulla del mondo intorno fino a che non ho bevuto l’eccellente caffè della moka che mi regalò la mia cara nonnina. Mi sento anche un po’ in colpa. Eppure, nonostante la sua sincerità, mi sembra che abbia una visione differente della nostra relazione. È come se la distanza che percepisco sia per lui in una qualche misura inevitabile pur essendomi effettivamente vicino. Però è davvero commuovente sapere di non essere sola e che lui mi è vicino anche quando sono presa dalla mia routine. Ma, non so, permane un indefinibile senso di distanza tra di noi che non so ben spiegare. Sarà forse per il fatto che è un uomo, con attitudini quindi differenti dalle mie, oppure, non so, forse c’entra qualcosa la scuola di cui parla, la meditazione e la gente che solitamente frequenta…».

Sospirai come per dare una conclusione a questi miei pensieri anche perché mi accorsi di non avergli ancora risposto.
«Ok,» pensai «non so darmi delle valide spiegazioni a riguardo di questa mia difficoltà di sentirci insieme, uniti, ma so che in certi momenti la vicinanza con lui è disarmante, mi basta appena un suo sorriso o una carezza sul volto...».

«Vieni qui e abbracciami!» gli dissi, «È molto bello quello che mi hai detto anche se non è giusto che ti diverti a osservarmi mentre io non me ne accorgo… Comunque la caffettiera di nonna fa veramente il caffè migliore del mondo! Non ti azzardare mai a venderla o a romperla perché potrei mollarti all’istante!».

Il suo volto si distese tanto da sembrare un ragazzo almeno dieci anni più giovane e i suoi occhi divennero raggianti mostrando una bontà calda e nutriente che finalmente accorciò le distanze tra di noi rendendomi davvero felice.

«No che non te la vendo la caffettiera di nonna» disse con il suo solito fare scherzoso «Anche se, visto il suo stato di pezzo da antiquariato, potrei farci almeno 50 euro al mercatino qui di fronte! Pensa a quanto ti voglio bene per non seguire tale impulso».